Sicilia: i Capurali de li Spirdi

By 10:19 , , , , , , , ,

Usanza comune era che le anime di chi muore di morte violenta, suicida o in ospedale siano dannate a vagare in terra condividendo un corpo spesso d’animale (farfalle, pipistrelli, lucertole, topi, ecc…) per tutto il tempo che gli restava da vivere e che non hanno potuto vivere. Questa condizione può essere una scelta divina o delle anime stesse.La morte toglie lo spirito al corpo, ma anche il corpo allo spirito così chi veniva colpito da sincopi e riceveva l’estrema unzione e veniva seppellito, se si risvegliava e riusciva a salvarsi diventava una figura molto poco amata. Si diceva che queste persone, ormai consacrate al mondo ultraterreno, portassero grandi disgrazie, morbi e pestilenze. Non era raro che venissero uccise a colpi di croci sacre, come nel caso riportato dal Pitrè.Ma quelli che rimanevano sotto forma di spirito (che potevano essere anime dei defunti o di Santi o demoni) tendevano a impossessarsi delle persone, entrando dalla loro bocca mentre respiravano e per questo durante alcuni orari notturni era sconsigliato di tenere la bocca aperta.
I posseduti oltre ad avere tutte quelle manifestazioni tipiche della possessione cristiana (parlare lingue sconosciute e/o colte, avere più forza di quanta se ne dovrebbe avere, ecc…) erano considerati sfortunati anche quando la possessione era da parte dello spirito di un Santo, come nel caso di una donna nell’Ottocento posseduta da Sant’Anna. Ma acquisivano anche particolari poteri legati agli spiriti che avevano in corpo, più questi erano potenti e più lo divenivano le persone e in quel caso diventavano Capurali de li Spirdi.
I Capurali erano coloro in grado di scacciare gli spiriti da un corpo, in virtù degli spiriti potenti che li possedevano potevano ordinare a spiriti di minore importanza di andarsene ed ottenerlo attraverso un rituale che, presumibilmente, invocava spiriti di Santi specifici oltre a quello che possedeva il Capurale (spiriti amici dello spirito, per così dire). L’esorcismo popolare non poteva essere fatto la notte di Natale perché durante questa notte gli spiriti erano più potenti del Capurale, e si ricordano casi di netti rifiuti di guarire.
Curioso che i Capurali a volte litigassero tra loro, o meglio che litigassero tra loro gli spiriti che li possedevano. Il Pitrè riporta un caso avvenuto nella libera piazza di due Capurali, uno posseduto da un Santo e l’altro da un demone, quest’ultimo perdette e cadde svenuto tra l’applauso della folla presente.
Ma la figura del Capurale non era necessariamente benevola, se gli esorcismi non funzionavano l’usanza prevedeva un rituale che metteva a rischio di vita il posseduto. Questo veniva portato in un luogo isolato dove bruciava incenso per tutto il tempo del rito, che poteva durare anche giorni. Qui, legato, veniva colpito allo stomaco dal Capurale, ad ogni colpo veniva invocato un Santo protettore. A volte il Capurale, per far uscire lo spirito, saliva sul petto del posseduto e si ricorda un caso processuale dove questo morì e il Capurale fu arrestato per omicidio. La corte lo condanno tra il biasimo della gente che lo voleva prosciolto.
Casi analoghi possono essere riscontrati in altre culture, non ultima quella cristiana (si veda il famoso caso di Anneliese Michel).
Oltre ai Capurali c’erano alcuni Santi specifici in grado di liberare i posseduti dagli spiriti invadenti, il Pitrè dice di aver assistito di persona a uno di questi casi durante un pellegrinaggio a San Filippo dove incontrò una donna capace di parlare lingue colte (greco e latino) che, davanti a un’immagine del Santo, cadde morta dopo aver detto che il Santo la stava scacciando, quindi un contadino presente iniziò a parlare in greco e latino antichi.
L’usanza di far vedere reliquie, immagini o far visitare chiese e tombe dei Santi ai posseduti era molto comune, qui giunti li si doveva costringere a parlare così che, aprendo la bocca, lo spirito uscisse.

“S. Filippo, patrono e protettore di quella popolazione, aveva facoltà di sprigionare i demoni dal corpo degli ossessi; onde nel giorno della sua festa tutti coloro che credevansi invasi dal demonio, venivano condotti nella chiesa di Calatabiano e quivi si davano a  far mille pazzie, a gridare, a bestemmiare, a dire le più ributtanti laidezze; mentre i parenti o gli amici che li avean condotti, li punzecchiavano, li maltrattavano violentemente, dicendo loro: Grida: Viva S.Filippu! Viva S.Filippu! e quanto l’ossesso metteva qual grido, il diavolo de n’era uscito, e la folla, invasa di sacro entusiasmo, ripeteva a più non posso quel grido, che si ripercuoteva fuori, nelle vie, nelle campagne, per tutto.” da: Tutti i saggi di Giuseppe Pitrè.




You Might Also Like

0 commenti